La prima edizione di IranFest sbarca a Forlì. Le prime sei recensioni dei ragazzi dell’Università di Bologna.
La prima edizione di IranFest è stata un successo. La rassegna di cortometraggi iraniani, presentata per la prima volta nell’ambito del 15° Sedicicorto International Film Festival, ha permesso al pubblico la visione di 12 cortometraggi provenienti dall’Iran, tra fiction e animazione, assaporando così alcune delle caratteristiche della sua sempre più viva e attiva cinematografia. Preziosa è stata la collaborazione con un gruppo di studenti dell’Università di Bologna – scelti tra coloro che avevano risposto alla Call For Entry indetta per l’occasione – che ha contribuito alla realizzazione della tre-giorni di evento al fianco e sotto la guida delle due programmatrici (Jessica Milardo e Alessandra Orlo) e del Direttore Artistico (Gianluca Castellini). Tra le varie attività, i ragazzi hanno preso parte al comitato di selezione, all’organizzazione dell’evento in sé e si sono cimentati nella redazione di un loro personale commento/recensione ai dodici corti selezionati che vi riportiamo di seguito.
Run Rostam Run è un adattamento satirico di un antico poema epico persiano (Rostame Sohrab). Il corto si apre sullo scontro fra due guerrieri che in realtà sono padre e figlio, seppure non si riconoscano inizialmente. Attraverso un sotterfugio Rostam riesce a vincere e solo nel momento in cui spoglia il nemico dell’armatura riconosce suo figlio. A questo punto, triste, cerca di rimediare invocando un uccello magico che lo rimprovera e ammonisce avvisandolo che lui stesso è l’unico in grado di rimediare all’errore commesso andando a cercare un antidoto nel futuro, a Teheran. Qui inizia l’odissea di Rostam nella Teheran del futuro e con essa una scalata di azioni prima morali e poi immorali per raggiungere il suo scopo. Ma è sbagliato agire al di fuori della legge e il corto si chiude quindi con la punizione di Rostam per le sue azioni, che nel momento in cui ottiene finalmente l’agoniato antidoto, viene raggiunto e catturato dalla polizia prima che il magico uccello lo riesca a riportare nel passato. (di Maristella Galiasso)
GENESIS – Il richiamo alle Sacre Scritture e al Corano dell’incipit stabilisce sin dal principio il trait d’union che lega questo stupendo cortometraggio al Libro della Genesi e ad una riflessione di stampo esistenziale sull’uomo e sul suo destino. Una radura deserta e’ collegata ad uno spiazzo verdeggiante in cui sorge un grandissimo albero dalle foglie blu da una sottilissima lingua di terra. Nella radura vi e’ un container, aperto sullo spiazzo verde antistante, con un uomo dalla testa-televisione.
Stanno così, nettamente separate, la vitae l’uomo moderno, la storia e la modernità. L’uomo non e’ più in grado di vedere, passano alternate davanti ai suoi occhi immagini di rivoluzioni, terribili stragi e talent show, senza causare in lui nessuna reazione. Quando qualcosa si rompe, però, l’uomo tenta di riallacciare il legame con l’albero della vita, la pianta da cui nascono le teste di cui questo moderno signore avrebbe bisogno. La conclusione e’ pessimistica, non rimane che rintanarci di nuovo nei nostri tetri e squallidi nascondigli dai quali tutto ci sembra lontano e ovattato. Sembra quindi impraticabile la via per una nuova Genesis, o forse c’e solo bisogno di aspettare ancora.
All’insegna del simbolismo, questo corto riesce a disturbare lo spettatore con immagini inconsuete e talvolta inquietanti, creando un atmosfera rarefatta che induce chi guarda in uno stato di perenne tensione. Prestandosi a molteplici interpretazioni, senza neanche una parola riesce a dire molto. Il messaggio non e’ per nulla scontato, e’ ben cifrato e, probabilmente, non e’ nemmeno uno solo. Rimane un notevole interesse per questo corto decisamente atipico realizzato con una nuova tecnologia che apre nuove possibilità narrative.
EXIST – Sofferenza e fatica. Questi i temi al centro del cortometraggio Exist, scritto e diretto da Payam Shadniya. Sullo sfondo, un Iran produttivo, tutto raffinerie e petroliere. Al centro della scena una donna, interpretata dall’attrice iraniana Leila Daman, vive la sua giornata. Il pesce pescato (con metodi decisamente poco ortodossi) come unica fonte di sostentamento per accudire un figlio malato. Il silenzio ad accompagnare lo spettatore nel mondo di chi, giorno dopo giorno, non si lascia sopraffare dalle difficoltà della vita. (di Andrea Lucietti )
INTO THE RAINBOW – Fuggire dal proprio Paese non è mai facile. Quando si decide di farlo si affrontano tanti problemi, non ultimo quello degli affetti che si lasciano alle spalle. Le difficoltà di un viaggio verso un nuovo mondo, che si spera di libertà, riserva insidie che, purtroppo, sono nella nostra cronaca degli ultimi anni. Ma ci sono delle forze invisibili che spingono le persone a sopportare anche le vessazioni più atroci pur di raggiungere lo scopo. L’amore è sicuramente una di queste forze. E l’amore è anche quello che spinge le protagoniste del cortometraggio Into the Rainbow a lasciare il proprio Paese. Un amore proibito, inconfessabile. Il regista Hasan Najmabadi ci conduce attraverso i tortuosi sentieri di una storia d’amore tra due ragazze che non possono amarsi liberamente. Il film, già selezionato al Roze Filmdagen di Amsterdam e vincitore del premio come miglior cortometraggio all’Euro Kino Film Festival, affronta il tema dell’omosessualità senza dare alcun tipo di giudizio. Sottolinea piuttosto come le vite delle due giovani donne siano attraversate da drammi molto comuni. Nonostante questo, però, sullo sfondo resta, onnipresente, il marchio dell’errore, del sentirsi fuori posto. E non c’è peripezia che valga il sentirsi liberi, forse per la prima volta, di potersi amare. Si sente la paura ma si percepisce sempre la speranza. E la speranza, si sa, è un motore potentissimo, capace di vincere ogni cosa.
THE BLUE CLASS – Ci sono due ragioni che rendono The Blue Class un corto che piace: le protagoniste sono delle bambine ed è tratto da una storia vera. L’innocenza attraverso cui si fa esperienza del mondo è qualcosa che ci fa sempre sentire leggermente più coinvolti in un film o in questo caso in un cortometraggio, perché con nostalgia ripensiamo a quando noi guardavamo il mondo con quegli stessi occhi. Ben presto però ci rendiamo conto che la vita di queste bambine non è pastello come i toni del loro abbigliamento, calda come la fotografia del corto che abitano; vediamo che indossano delle maschere per coprire il volto, che parlano di quando torneranno ad essere belle e vediamo dove stanno andando, a trovare una compagna di classe in ospedale. Infine, attraverso l’incubo di quest’ultima bambina capiamo che è avvenuto un evento tragico nella Blue Class, quello che ha segnato le loro vite e quella di altre 26 bambine. (di Maristella Galiasso)
Questa è una storia che ci si rivela progressivamente. Il corto si apre su un corteo funebre e comprendiamo fin dai primi dialoghi che il resto della storia girerà attorno a questo evento in sé già tragico. Il protagonista, nelle sue scuse, nelle sue espressioni turbate e nei suoi scambi di sguardi con un’unica ipotetica complice, ci fa capire che il suo destino non solo è triste, ma è anche certo e sicuramente non prevede nulla di buono. Tutto gira attorno al quesito: Perché non vuole che si esegua il tradizionale rituale funebre su sua moglie? Il pianto del protagonista sulla via del ritorno dal suo viaggio per prendere l’acetone, ci conferma tutte le sensazioni di disagio precedenti e al suo arrivo giunge la verità sul suo segreto e con essa arriva l’aggressione da parte della piccola comunità, spinta da discriminazione e paura. Non c’è più fuga, non c’è più rete di sicurezza. In una società oppressa e retrograda, il protagonista e il corpo senza vita della compagna dal sesso non identificato non hanno scampo. (di Maristella Galiasso)
(segue)